venerdì 7 gennaio 2011

TRATTO DA UNA POESIA DI TRILUSSA

AH! NUN POI CREDE QUANTO ME DISPIACE
DE STRACINA' STO' POPOLO ALLA GUERRA
LUI CHE PE ANNI LAVORO' LA TERRA
CO' LA SPERANZA DE GODE' LA PACE
OGGI PER UN CAPRICCIO CHE ME PIJA
ADDIO CAMPI, ADDIO CASA, ADDIO FAMIJA

UN GIORNO APPENA TORNERA' ER LAVORO
IN QUELLI CAMPI DE' BATTAJA
IN DOVE HA FATTO STRAGGE LA MITRAJA
RIVEDREMO ONDEGGIA' LE SPIGHE D'ORO
MA ER GRANO SARA' ROSSO E DARA' UN PANE

INSANGUINATO DALLE VITE UMANE



IL CANTO DEGLI EMIGRANTI “Noi siamo pecore,
figli di pecore.
Di generazione
in generazione
i lupi si
scaldano con la
nostra lana e
si cibano con
la nostra carne.

Un giorno vennero
a dirci che in un
paese molto vasto,
ma molto lontano,
noi avremmo potuto
campare meno peggio.


(Ferdinando FONTANA -1881)

Oh pecore, pecore – ci gridarono - badate che c’è il mare da attraversare ..E noi lo attraverseremo...E se fate naufragio e vi annegate?..Meglio morire d’un colpo che agonizzare tutta la vita.
Oh povere pecore, ma voi non sapete che in quel paese molto vasto e molto lontano ci sono delle malattie tremende. Nessuna malattia potrebbe essere più tremenda di quella che noi soffriamo di padre in figlio: la fame”

I LAVORATORI DELLA SCUOLA E DELL'UNIVERSITA' SCIOPERERANNO
venerdì 28 gennaio 2011


Riprende la mobilitazione dei lavoratori della scuola e dell'università. A fronte di una politica scolastica del governo che prevede solo tagli dell'organico e delle retribuzioni la CUB Scuola Università e Ricerca assieme alle altre organizzazioni del sindacalismo di base indice una giornata di sciopero con manifestazioni regionali venerdì 28 gennaio.

Lo sciopero, oltre che per i problemi che riguardano i lavoratori del comparto, è:
. la condivisione, nei fatti e non a parole, di quanto chiesto con grande forza dal movimento degli studenti sviluppatosi negli ultimi mesi;
- espressione della solidarietà ai lavoratori metalmeccanici colpiti - si vedano gli accordi indecenti di Pomigliano e Mirafiori - dalla pretesa della FIAT - con il supporto di ampia parte della classe politica e dei sindacati ad essa subalterni - di distruggere i diritti elementari dei lavoratori.
Siamo, infatti, perfettamente consapevoli che, se il diktat padronale passerà in Fiat, tutte le lavoratrici ed i lavoratori di questo paese ne saranno coinvolti.
La CUB Scuola Università e Ricerca invita tutti i sindacati non complici del padronato e del governo a fare del 28 gennaio una giornata di sciopero generale di tutti i lavoratori del settore privato e del pubblico impiego.
Torino, 6 gennaio 2011
Per la CUB SUR

Il Coordinatore Nazionale Cosimo Scarinzi


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La società della perdita e del risentimento
By ilsimplicissimus
Anna Lombroso per il Simplicissimus

Pomigliano e Rosarno si somigliano. Sono due luoghi simbolici di un paese che ha perso qualcosa. Ma altri ce ne sono. Luoghi dove qualcuno ha perso il senso del lavoro: un mestiere antico o uno status legato a un ruolo produttivo scomparso in una repentina ristrutturazione industriale. O un’appartenenza consolidata in identità collettive obsolete e stravolte dall’irruzione potente e sradicante di nuovi flussi su un territorio reso irriconoscibile ai suoi abitanti messi alla prova dello spaesamento e dallo stravolgimento urbanistico. O come Ponticelli esemplare perché gravato da tutto il peso della povertà patologica del nostro Mezzogiorno.
E che in vari modi siamo stati tutti oggetto di una sottrazione. Per alcuni la privazione rìconcerne la speranza che li ha spinti qui da territori della fame, della miseria, della sopraffazione. Per alcuni riguarda privilegi considerati naturali e inalienabili. Per tutti si è spezzato qualcosa nel profondo alla radice di quelli che una volta si chiamavano sentimenti morali.

Il risentimento è diventato la cifra che connota i rapporti reciproci e soprattutto quelli con l’Altro. È un rancore ormai emerso che prende le sembianze della ferocia quando di rivolge verso il basso dove l’assetto sociale è più fragile sconnesso e vulnerabile, all’interno di un processo di regressione civile che si integra con una regressione sociale.

Sociologi illuminati lo definiscono malessere da perdita e lo hanno diagnosticato guardando ai naufraghi del fordismo, agli espulsi dai distretti dell’antica eccellenza, al bacino degli ex quadri tecnici della grande industria siderurgica che qualcuno ormai disegna come criceti in una gabbia confinata che corrono dietro a un lavoro dequalificato e a un fido bancario precario, malati di rancore e sperduti come dopo un’esplosione distruttiva.

Ma è malessere da perdita anche l’erosione di speranza e futuro che un anno fa caratterizzava le bande disperate di Rosarno colpite dalla determinazione con la quale abbiamo rovesciato i nostri diritti in strumenti di esclusione per gli altri, in una società di diseguali incuranti che l’unilateralità è la premessa dell’ingiustizia, della discriminazione, dell’altrui disumanizzazione.

Un anno fa e oggi. Solo che oggi abbiamo la drammatica consapevolezza, non tutti purtroppo, che
la riduzione della “socialità” che riguarda ogni ambito della vita di relazione e crea inimicizie ostilità e competizione in una spirale che distrugge l’interesse generale e i suoi capisaldi di legalità, imparzialità, disinteresse personale, colpisce anche nuovi pubblici resi fragili da crisi e malgoverno.

Che l’erosione del futuro incrementa il numero dei “senza speranza”, annoverando nella sua iniqua contabilità i nostri figli. Le ineguaglianze in risorse e opportunità di “domani”, di vita, di conoscenza, di speranza tra paesaggi umani del mondo molto troppo ricchi e quelli incomparabilmente più vasti della povertà della carestia si proiettano sulle generazioni future. Così oggi trattiamo come schiavi miliardi di contemporanei e condanniamo alla servitù, alla povertà, alla disperazione le generazioni future.

Esternalizzazione, precarizzazione, un mondo del lavoro alle corde fiaccato nel proprio orgoglio produttivo e nei diritti e nella dignità dei lavoratori, sono il vero volto di quella modernizzazione che piace a Marchionne, a Berlusconi e a Veltroni, ecumenicamente convinti da un processo nel quale si credeva di crescere e invece si declinava, in instabile periglioso equilibrio su un piano pericolosamente inclinato verso la fragilità e l’arretratezza dove l’equità è stata demonizzata alla stregua di una ideologia totalitaria, la dignità derisa alla stregua di un’emozione arcaica, la libertà condannata come pulsione insurrezionalista.

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